Un venerdì storto, parole pesanti e una Ducati GP25 che non segue: Bagnaia alza la voce e punta il dito sul lavoro.
L’aria è pesante già dai primi giri. L’assetto “ungherese” non ha dato risposte, le correzioni tra FP1 e Prove a Barcellona nemmeno: Pecco si ritrova in fondo, senza sensazioni, senza fiducia, con una moto che non parla la sua lingua. Mattina da 23°, pomeriggio da 21°, e un sabato che inizia dalla Q1.
Numeri che pesano, soprattutto per chi è abituato a ben altro. Ecco perché il tono cambia: niente giri di parole, solo frustrazione lucida. Il campione del mondo spiega di non trovare il bandolo, di avere provato direzioni diverse senza vedere uno spiraglio.
Il concetto arriva chiaro ai microfoni: “Va peggio di Balaton”, ammette. Lì aveva chiuso con fiducia, qui sprofonda. La frase che brucia di più è quella sui riferimenti: “Sono 21° in mezzo a due tester quando dovrei stare nei primi cinque”. Non è uno sfogo a caldo, è il confronto con il proprio standard. E il divario, oggi, è troppo ampio per essere derubricato a episodio.
La GP25 non gli dà appoggio né coerenza: al limite ovunque, senza un perimetro chiaro per il passo. Si è cambiato l’assetto, si è ritoccato ciò che era nato in Ungheria, ma il feeling non arriva. Quel “parliamo sempre dello stesso discorso” suona come la dichiarazione di un problema non risolto che si trascina da sessione a sessione. Si cerca una direzione, non la brillantezza di un giro.
Poi il passaggio chiave: niente rassegnazione. Bagnaia lo ripete e lo difende. Dice di aver attraversato momenti più duri senza mollare. La differenza, ora, è l’impotenza tecnica: “Una volta che provi tutto, è difficile capire cosa non funziona”. Squadra al lavoro, supporto pieno, ma la comprensione non c’è. Ed è questo il punto che fa più rumore del cronometro.
Il sabato parte dalla Q1: non è uno scenario sconosciuto, però qui pesa. Perché la pista catalana, per storia e caratteristiche, è terreno favorevole. Non lo è stata. E se l’obiettivo rimane quello di risalire in fretta, serve un cambio netto già nel primo run del mattino. Ritrovare una base, limare il nervosismo dell’avantreno, costruire fiducia in staccata. Il resto viene dopo.
Il linguaggio del campione resta asciutto, quasi chirurgico. Nessun alibi, niente accuse personali, ma un messaggio diretto alla stanza dei bottoni: serve capire, subito. Perché restare “in mezzo a due tester” non è un dettaglio di classifica, è un segnale d’allarme. E in un mondiale che non aspetta, ogni turno perso è un gradino in più da recuperare la domenica.
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